Il Social media marketing nelle Piccole e Medie Imprese
Scritto da Dott. Tomaso Trevisson
- Pubblicato in OK!BLOG
- Letto 2161 volte
- dimensione font riduci dimensione font aumenta la dimensione del font
- Stampa
Cominciamo la nostra riflessione con un inquadramento terminologico. Il Search Engine Marketing, o SEM, rappresenta quella sezione del Web Marketing che si applica ai motori di ricerca e che, quindi, implica tutta una serie di attività volte a generare traffico qualificato verso un determinato sito web.
All’acquisto di spazi pubblicitari e all’adozione di campagne Pay per Clic (PPC), deve necessariamente far seguito, in questo senso, uno specifico piano di Search Engine Optimization (SEO), intendendo con questo termine l’analisi approfondita e l’ottimizzazione di una pagina o di un intero sito web al fine di migliorarne il posizionamento nelle serp dei motori di ricerca, attraverso strumenti onpage (keyword, tag, metatag…) e offpage (link building, promozione su blog, forum, article marketing e comunicati stampa…).
A metà strada tra uno sviluppatore web e un esperto di web marketing, l’addetto al SEO risulta la figura più “tecnica” del fare marketing online, poiché egli deve avere conoscenza base di alcuni strumenti di sviluppo web.
Il recente e massiccio sviluppo dei social network ha, tuttavia, imposto la ricerca di nuove metodologie per ottenere visibilità nel web, che vanno sotto il nome di Social Media Optimization (SMM) e l’approccio più nuovo del marketing, quello collegato ai social media, assume la definizione di Social Media Marketing (SMM), appoggiandosi – ci dice Jason Jantsch (citato da Maltraversi in “SEO e SEM – Guida avanzata al web marketing”) – sulle quattro C (contenuto, contesto, connettività e community): “Tons of relevant, education based, and perhaps ‘user generated’ content that is filtered, aggregated, and delivered in a context that makes it useful for people who are starving to make connections with people, products, and brands they can build a community around”.
Grazie all’integrazione della propria attività in questi canali, le imprese possono riuscire a veicolare nuove visite nel proprio sito web principale e a migliorare la propria reputazione online. Alla base vi è l’idea che, essendo presenti in più parti, sarà più facile attirare nuovi clienti, ma certo, affinché tale idea risulti efficace, è necessario che l’inserimento dell’impresa nei nuovi mezzi avvenga in modo coerente al target individuato, al prodotto o servizio che si intende presentare e al mezzo stesso che si è scelto di utilizzare.
È importante sottolineare come quella dei social non rappresenti una strada obbligatoria a prescindere da altre considerazioni, come non sia sufficiente avere una pagina Facebook per dirsi al passo coi tempi e con l’evoluzione; la facilità e il costo pressoché nullo con cui è possibile realizzare e gestire un account aziendale spingono spesso le piccole e medie imprese a intraprendere il nuovo percorso senza prima stilare un’adeguata politica di web marketing integrata e senza pensare a delle risorse umane e temporali dedicate in via esclusiva allo sviluppo di tale percorso. I canali social vengono visti come un aspetto pressoché ludico, qualcosa di simile ad un volantino pubblicitario e, come nella più solida prassi aziendale, la loro gestione viene spesso affidata allo stagista di turno o ai ritagli di tempo di impiegati dediti abitualmente ad altre attività.
A differenza di un sito internet, che potrebbe idealmente rimanere invariato anche per settimane, i social network necessitano di un aggiornamento costante, richiedono uno sforzo maggiore, impongono un confronto diretto con i propri utenti, un’esposizione alle critiche e un’immensa pazienza poiché i risultati sono tutt’altro che immediati per le piccole e medie realtà.
Non una strada obbligata, dunque, ma un’opportunità di crescita. Questi network permettono di conoscere i propri utenti, di capire quello che cercano e quali sono i loro interessi, consentono la realizzazione di nuove formule originali per la propria attività aziendale e possono condurre a degli sviluppi inattesi e certo graditi in termini di evoluzione qualitativa della stessa attività. Il limite estremo di un loro intenso utilizzo potrebbe essere l’elaborazione di un nuovo approccio collaborativo alla produzione di beni e servizi e, dunque, la creazione di nuovi modelli di business; da un’idea di impresa quale ambiente chiuso e gerarchico, basato su un rapporto rigido tra un titolare e i suoi dipendenti, a “una serie di ‘reti del capitale umano’ sempre più distribuite – collaborative e basate sull’organizzazione autonoma – che traggono conoscenza e risorse dall’interno come dall’esterno” (Don Tapscott e Antony D. Williams, “Wikinomics 2.0 – La collaborazione di massa che sta cambiando il mondo”).
Con riferimento al rapporto impresa – cliente, l’aspetto da più parti evidenziato è come questi canali raggruppino di fatto già tutta una serie di potenziali utenti inquadrati per categorie più o meno stardard: gruppi, pagine d’appartenenza e caratteristiche anagrafiche sono in grado di fornire delle informazioni utili all’azienda, la quale deve essere capace di intercettare quelle fasce di pubblico coerenti con la propria attività, dunque potenzialmente interessate ad esserne coinvolte.
Alla base vi sono, comunque – anche per le piccole imprese, quelle con scarse risorse ma molta voglia di mettersi in gioco – la capacità di ascolto, la creazione di contenuti di qualità, diversificati e pensati esclusivamente per il nuovo canale, l’abilità nel riuscire a far parlare di sé e della propria attività, di incuriosire i propri visitatori, di offrire una comunicazione veramente multimediale e di avere una certa costanza nella propria presenza.
Qualsiasi azione idonea a promuovere il proprio brand attraverso i social media “non dura 15 giorni”, come evidenzia Giorgio Soffiato di MarketingArena Consulting ai margini di un incontro tenutosi qualche giorno fa a Rovigo (dal titolo “Il Social Media Marketing per le piccole e medie imprese: un approccio operativo”): “abbiamo recentemente sviluppato una campagna di comunicazione off line per Prontocapelli, manifesti in tutta la città ed ottimo ritorno in termini di branding. Un effetto che va però scemando alla fine del costoso investimento. Un lavoro di 15 giorni sui social media può essere utile per mettere le basi su un progetto di lungo periodo, e soprattutto con quel budget si possono fare un sacco di prove”; si rende allora necessaria una “complementarietà tra questi strumenti, ma è innegabile che il web marketing nel lungo periodo può fare molto”. “I first mover o early adopters – prosegue Soffiato – “portano sempre a casa più degli altri, e il lavoro nel lungo periodo paga. I trucchetti lasciamoli a chi vuole ottenere ‘risultati flash’ ma non si ritroverà su questi schermi tra 1 anno”.
Muoversi subito e saper realmente innovare, avendo la costanza e al contempo la pazienza necessarie ad ottenere dei risultati tangibili. Questo, dunque, in estrema sintesi, ciò che viene auspicato per le piccole e medie imprese italiane.
Altro aspetto da non sottovalutare è che, contrariamente a quanto si è portati a pensare, Facebook non rappresenta l’unica potenziale destinazione per una discesa efficace sul lato social: gli strumenti potenzialmente utili alle aziende sono moltissimi e una strategia di Social Media Marketing realmente funzionale deve essere in grado di capire su quali di questi strumenti sia meglio orientarsi, in relazione al proprio brand, ai prodotti e servizi offerti, alle risorse di cui si dispone e al pubblico che si intende raggiungere.
Dal networking professionale di LinkedIn e Xing, al microblogging di comunicazione aperto e multipiattaforma targato Twitter; dagli strumenti Google, sicuramente utili anche ai fini del buon posizionamento, all’ampia personalizzazione permessa da MySpace, uno dei primi social, utilizzato soprattutto da giovani (dai 14 ai 25 anni) e – seppur tendenzialmente snobbato dagli esperti di marketing, che lo ritengono tra gli strumenti meno validi – potenzialmente funzionale ai fini di una campagna di marketing dedicata alla musica o, genericamente, ad un pubblico di adolescenti; dal proprio canale video personalizzato su Youtube, alla pubblicazione di album fotografici su Flickr; dalla condivisione di documenti e presentazioni su SlideShare, alla condivisione trasversale di FriendFeed; dalla possibilità di accrescere la propria reputazione online offerta da Wikipedia, ai numerosi siti di social bookmarking (Del.icio.us, StrumbleUpon, Diigo) e di social news (Digg, Reddit, Yahoo!Buzz, Newsvine, Mixx); e ancora, meno conosciuti, ma di potenziale interesse: Bebo (usato soprattutto in Australia e nel Regno Unito, quindi funzionale ad una eventuale espansione verso quei mercati), Orkut (ha avuto successo soprattutto in Brasile e in India), Hi5 (in America Latina, Asia, Africa), DeviantArt (dedicato a chi ama l’arte e la fotografia), Yelp (particolarmente usato negli Stati Uniti e indicato per i locali di ristorazione), Scribd (per la condivisione di documenti ed e-book, simile a SlideShare), Epinions (per recensire prodotti, dunque utile per una campagna di brand marketing o per incrementare la online reputation) e Squidoo (consente di creare pagine web, sfruttando modelli standard).
Sono tutti strumenti adatti ad inserire la propria attività nella Rete e, in alcuni casi, a potenziare il proprio servizio clienti, per il supporto alla vendita o all’assistenza; a vincere su tutto, in questi canali, è il valore della relazione che si viene a creare tra imprese e clienti, dunque un linguaggio di natura commerciale non sembra essere idoneo, a meno che esso non rimandi a offerte pensate ad hoc, periodiche ed esclusive, capaci di creare una certo grado di fidelizzazione.
I mezzi, in definitiva, ci sono, spetta alle aziende, in particolare a quelle più piccole, l’arduo compito di comprendere quale sia la posizione ideale con riferimento ai propri obiettivi aziendali.